Sanità regionale: le scelte dei leader

Iniziò tutto il 4 luglio del 2008, dopo neanche un mese di assessorato “ad interim” dell’allora presidente regionale Piero Marrazzo. Il governo Prodi, nominò lo stesso commissario alla Sanità del Lazio, con l’intento di realizzare gli obiettivi “di risanamento finanziario previsti nel piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario”. Una sorta di tutela ministeriale che aveva, quali intenti di razionalizzazione “garantire il blocco del turn-over, la riduzione della spesa farmaceutica territoriale e di quella convenzionata; la messa a regime della centralizzazione degli acquisti e una sterzata sulla chiusura di ospedali a bassa performance organizzativa con la razionalizzazione della rete ospedaliera”.

Un rigoroso documento in undici punti, i cui obiettivi sono stati messi in atto tra mille difficoltà. Un tira-molla tra esecutivo e regione, compressa nel suo ruolo, tra garanzia del diritto alla salute e rispetto del diktat governativo, pena il mancato sblocco dei fondi destinati ad Asl ed ospedali. Questo modello però è entrato in crisi da tempo e tutti i candidati alla presidenza regionale, in modo più o meno esplicito, sognano un ritorno alla normalità. Francesco Storace pone la fine del commissariamento tra i punti principali da realizzare subito, evitando il ricorso a “figure tecniche senz’anima che decidono sulla nostra salute”, nel suo programma Nicola Zingaretti, chiede di “restituire un governo alla salute con una leadership politica legittimata dai risultati raggiunti” mentre Sandro Ruotolo di Rivoluzione Civile sostiene che “il commissariamento non ha risolto nessuno dei problemi strutturali del settore”.

Secondo gli esperti il vero nodo da affrontare è legato a un aspetto che riguarda l’architettura istituzionale del sistema: mantenere lo status quo, riformandolo o proporre nuovi modelli di governance? In sintesi, ce la fa il vecchio sistema sanitario, nato dalla grande riforma del 1978, mutuata dal modello di Welfare proposto in Gran Bretagna nel 1942 da Lord Beveridge (Report of the Inter-Departmental Committee on Social Insurance and Allied Services), a superare le sfide della società attuale? “La sanità incide sul Pil per il 7,1 per cento – spiega Roberto D’Ambrosi, direttore dell’area tecnico informatica della Asl Roma C – ma restituisce al Paese, in termini di ricchezza, oltre il 12 per cento dello stesso prodotto: produce più di quanto costa. Il settore sanitario, compresa la farmaceutica, deve far parte a pieno titolo nel sistema industriale italiano e l’ammodernamento tecnologico dei servizi sanitari va inserito tra il piano delle grandi opere infrastrutturali”. Una proposta concreta per l’agenda del futuro governatore e del governo centrale.

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