Molti, in Europa, sperano che la Germania faccia da apripista.  Con 407 voti a favore, 226 contrari e 4 astenuti il Bundestag, Parlamento federale, il 23 gennaio ha approvato la legalizzazione della cannabis per uso personale, oltre che terapeutico. Il Bundesrat, Consiglio federale tedesco ha fatto il resto, ratificando la precedente decisione e dal 1° aprile, la normativa voluta dalla maggioranza di governo dei verdi, socialdemocratici e liberali, consente ora ai maggiorenni di coltivare e/o comprare la sostanza, allineandosi a quanto avviene soltanto a Malta e Lussemburgo nel continente europeo. In Italia già qualcuno esulta e riscalda i motori, incoraggiato dai vari comitati a sostegno, tra cui l’associazione “Meglio legale” e quella di Luca Coscioni, già molto attiva per far passare nei Consigli regionali – con varie e discutibili modalità – la legge sulla cosiddetta “Buona morte”. Tanto che è stato pubblicato un manifesto che, con un gioco di parole riferito al cambio di orario, pubblicizza la piantina delle controversie, con lo slogan impresso sopra: “Ora legale”. Sembra però, che l’assunzione della sostanza psicotropa, non trovi unanime favore popolare. La scienza si sta mobilitando e, lancia l’allarme sulle conseguenze che l’assunzione incontrollata dei cannabinoidi può provocare all’organismo. Illuminante, in tal senso, e di grande spessore per i contenuti scientifici divulgati, il convegno promosso il 22 febbraio scorso da Stefano De Lillo, vicepresidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Omceo Roma), in collaborazione con la Fondazione San Camillo Forlanini, dall’eloquente titolo ‘Cannabis – Dall’uso terapeutico all’abuso ricreativo’. Nell’aula magna dell’ospedale intitolata ad Agazio Menniti – giovane primario neurochirurgo tragicamente scomparso nel 2021 – farmacologi, ricercatori, esperti, si sono confrontati su una insidia colpevolmente sottovalutata, considerato che in quest’ultimo anno circa il 30% degli studenti delle nostre scuole superiori è venuto in contatto con questa sostanza che qualche effetto sul fisico comunque lo provoca. Una assunzione che ha effetti devastanti nella crescita intellettiva dei nostri giovani: i dati dimostrano che quanti la usano abitualmente, perdono dieci punti di quoziente intellettivo. Non è tutto: da gran parte degli studi emerge come nel 15-20% dei casi la cannabis induca psicosi, principalmente schizofrenia. Soprattutto, è importante operare precisi distinguo tra l’uso terapeutico e l’abuso ricreativo, come suggerito saggiamente dal titolo dell’assise. Un aspetto che i relatori hanno opportunamente evidenziato, focalizzando l’attenzione sulla formazione della classe medica che, paradossalmente, non riceve alcun insegnamento in merito durante il corso di studi universitari, trovandosi poi, nella professione, costantemente a contatto con soggetti adusi alla sostanza. Se per forme molto gravi di epilessia, per il controllo del dolore, per il deperimento organico conseguente ad Hiv o a patologie tumorali la cannabis è risultata efficace, altrettanto non può dirsi nei casi di abuso, legati alle cosiddette ‘condizioni ricreative’, in cui si verifica tutta una serie di eventi avversi correlati, con effetti deleteri sul cervello inducendo, tra l’altro, modifiche del comportamento e compromissione della memoria, favorendo allucinazioni e psicosi. Sotto accusa i composti psicoattivi fitocannabinoidi “tra cui il THC (tetraidrocannabinolo) è l’elemento pericoloso” ha chiarito Ferdinando Nicoletti, ordinario di Farmacologia alla Sapienza di Roma, direttore di Neurofarmacologia molecolare all’Irccs Neuromed di Pozzilli, Isernia. “Alterando i meccanismi che regolano l’attività sinaptica nel sistema nervoso centrale e le attività di network – chiarisce l’esperto – può aprire la porta proprio alla devastante patologia psichiatrica, ovvero la schizofrenia”. Sono 200 milioni i consumatori di cannabis nel mondo. L’uso giornaliero aumenta il rischio di sviluppare schizofrenia più del 75% mentre l’uso settimanale lo aumenta del 36-37%. Stime allarmanti. Che non devono scoraggiare l’uso della cannabis a scopo terapeutico, se si calcola il rapporto rischio-beneficio, scongiurandone l’utilizzo quando tale valutazione sia in favore del rischio.

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