Ė incontenibile Francesco Storace ai microfoni della trasmissione cult di Radio Uno “Un giorno da pecora” del 10 marzo. Parla del Piano pandemico il giornalista prestato alla politica, già presidente del Lazio tra il 2001 e il 2005 e poi ministro, e racconta di essere stato l’ultimo titolare del dicastero di lungotevere Ripa ad aggiornare nel 2006 il documento da mesi oggetto di dibattito. Linee guida rimaste nei cassetti del palazzo della sanità, ignorate perfino quando ci sarebbe stato più bisogno di prenderle in considerazione. “Consultando il piano, sebbene non riveduto – ha dichiarato l’editorialista di “Libero” – probabilmente ci sarebbero state meno vittime. Non faccio il mago ma sicuramente sarebbe stato meglio leggere il piano, piuttosto che scrivere un libro come ha fatto Roberto Speranza”. Ed è una riflessione che fanno molti cittadini, apprendendo che un filone dell’inchiesta di Bergamo su presunte omissioni delle autorità in periodo pandemico, è stato spostato a Roma, per accertare le motivazioni per cui ben tre ministri della salute Beatrice Lorenzin, Giulia Grillo e Roberto Speranza del piano pandemico ignoravano anche l’esistenza. Al pari del presidente dell’Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro, che ha dichiarato di aver appreso dell’ignorato atto ministeriale soltanto nel maggio 2020. Nei 321 giorni di permanenza al ministero, tra il 2005 e il 2006, Storace insieme ai tecnici degli uffici ha avuto modo di impostare le indicazioni, in caso di pandemia, atte a censire e formare i medici di famiglia, perno dell’assistenza di base, a rendere attiva la farmacovigilanza per verificare eventuali effetti delle vaccinazioni, a programmare una corretta comunicazione sull’andamento dei contagi e dell’assistenza. Temi di ampio respiro, estremamente flessibili e adattabili a ogni patologia diffusiva. Mancavano soltanto le disposizioni relative al distanziamento sociale. Ė evidente che a Beatrice Lorenzin, cinque anni di permanenza al ministero non sono bastati per approntare strumenti di difesa della salute pubblica che non fossero vaccini. Nel settembre 2014 la pasionaria della inoculazione fu nominata negli Stati Uniti dal presidente Barack Obama, rappresentante dell’Italia quale nazione capofila, nei successivi cinque anni, delle strategie vaccinali nel mondo. Si utilizzò addirittura l’operazione “Mare Nostrum” per favorire i sieri tra gli immigrati, così come si intensificarono le presenze in università e scuole di esperti per parlare a ragazzi e docenti di “corretti stili di vita e vaccinazioni”. Vaccini versus piano pandemico, è evidente come una scelta abbia vanificato l’altra. Poca prevenzione, larga inoculazione. Se non fosse intervenuta la sorte avversa, avremmo potuto godere del potere taumaturgico del libro scritto da Roberto Speranza nelle pause dalle fatiche ministeriali, dal titolo inversamente profetico “Perché guariremo”. La premessa è intrisa di coriacee certezze: “Non ci sono dubbi. Guariremo”. Profezia fallita in migliaia di casi, tanto da ritirare, nell’estate del 2020 il libro dalla distribuzione. Migliaia di morti che, secondo un infallibile modello matematico, si sarebbero potute evitare se si fosse scritto di meno e letto di più.

 

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