Sanità: colpi bassi ai lavoratori

Un’interpretazione restrittiva del decreto legge 78 del 2010 “Contenimento delle spese di personale delle amministrazioni pubbliche per i dipendenti delle Regioni, delle Province autonome e del Servizio sanitario nazionale”, convertito nella legge 122 del 30 luglio 2010 e sfumano consistenti fondi per i lavoratori del comparto sanità. “Divieto di superamento nel triennio 2011-2013 dell’ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento accessorio”. Questa è la formula burocratica con cui si liquida la possibilità di godere di una busta paga più sostanziosa “una tantum”, a fronte di pingui retribuzioni dei dirigenti, per non parlare degli esorbitanti costi della politica, attualmente sotto attacco da più parti. Reagiscono con veemenza i sindacati di settore “si raschia il barile colpendo sempre i più deboli per non scalfire gli interessi dei poteri forti e i privilegi della politica” tuona Giovanni Torluccio segretario generale della Uil funzione pubblica, cui fa eco l’omologo Pino Carbone della Fials “un attacco selvaggio e malvagio alle tasche dei dipendenti dei comparti sanità e autonomie locali”.

Di fatto, vuoi per la necessità di riduzione della spesa, vuoi per il combinato disposto di interpretazioni – Conferenza delle Regioni, Ragioneria generale dello Stato e Corte dei Conti – si sottraggono allo specifico fondo le cosiddette “retribuzioni di fascia del personale cessato”, una delle principali fonti di alimentazione di un gruzzolo che, di anno in anno si assottiglia sempre di più. Così ai tagli a beni e servizi, al blocco dei rinnovi contrattuali e del turn-over si somma questo altro “colpo basso, vero scippo ai lavoratori”, lo definisce Torluccio, che con i rappresentanti delle altre sigle sindacali chiederà a Vasco Errani, presidente della Conferenza Stato-Regioni “un impegno formale perché vengano restituiti i soldi spettanti ai lavoratori”.
I sindacati guardano con attenzione al prossimo governo e ritengono, qualora non si proceda al rinnovo dei contratti pubblici, di dover mettere in atto proteste e mobilitazioni perché, sostengono all’unisono “non è più sostenibile una situazione che ha messo in ginocchio il potere di acquisto delle retribuzioni, ferme dal 2009”.

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