Nel consultare la rassegna stampa quotidiana, una notizia riportata dalla “Gazzetta del Mezzogiorno” ci ha particolarmente colpito: la morte di una donna di 80 anni all’ospedale Vito Fazzi di Lecce, dopo la somministrazione di un farmaco radioattivo, prima di eseguire una scintigrafia ossea. Avrebbe avuto una reazione allergica e ora, ci sono sei persone iscritte nel registro degli indagati dal pm Maria Consolata Moschettini: due medici di turno, un’infermiera, una operatrice sociosanitaria, il tecnico di radiologia e quello che ha preparato il farmaco. Gli indagati sono accusati di responsabilità colposa per morte in ambito sanitario. La vicenda risale al 21 luglio ma soltanto il 29 è stata resa pubblica, dopo la denuncia dei famigliari che vogliono vederci chiaro sulla morte della congiunta. Nella sua drammaticità, non è una notizia rara né particolare e ha richiamato subito alla mente la vicenda di Andrea Purgatori, il giornalista malato di tumore a cui il 28 luglio in tanti hanno dato il commosso addio nella Chiesa degli Artisti di piazza del Popolo a Roma. Nulla di paragonabile, tra il decesso della povera signora e la scomparsa del compianto e noto personaggio televisivo. Comprensibilmente, la repentina fine di Purgatori, avvenuta poco più di tre mesi dopo la diagnosi, ha sollevato mille interrogativi e ha instillato vari dubbi sui delicati rapporti nell’ambito della sanità. Al di là della ridondanza degli eventi, sono tanti i purgatori che i cittadini comuni si trovano a vivere, al cospetto della malattia, specie se si tratta di una diagnosi complessa, di difficile interpretazione. Un calvario che vivono da soli, confortati solo dalle loro famiglie, senza l’umana partecipazione collettiva che accompagna le vicende che coinvolgono le celebrità. E troppe sono le carenze della comunicazione tra medici e pazienti, tra specialisti e famiglie e tra gli stessi camici bianchi. Rari, ma non infrequenti, i casi in cui i congiunti chiedono verità, trasparenza, opposta al muro di gomma che talvolta il sistema innalza per non rivelare l’errore medico, superficialmente bollato come “malasanità”. Un discutibile neologismo che caratterizza genericamente le falle nell’organizzazione, preservando i reali responsabili del danno, sollevando dalle responsabilità qualche intoccabile, specie di cui la sanità purtroppo abbonda.

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