Abbattere le attese si può, ma non si sa

In caso di lunghe attese un decreto del 1998 consente prestazioni in privato pagando solo il ticket

Sanità: il problema non sono le lunghe attese per visite ed esami. O meglio, non dovrebbero esserlo dal 1998 ma nessuno lo sa. Con il decreto 124 del 29 aprile di quell’anno “Ridefinizione del sistema di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie e del regime delle esenzioni”, si sanciva il primato del diritto alla salute sui ritardi provocati dal cosiddetto “aziendalismo sanitario”, causa di attese bibliche, agende bloccate, servizi a scartamento ridotto. L’articolo 3 della normativa, al comma 13 prevede che “qualora l’attesa della prestazione richiesta si prolunghi oltre il termine fissato dal direttore generale, l’assistito può chiedere il ricorso all’attività libero-professionale intramuraria”. Intramoenia per tutti, anche per chi non può permetterselo ma tale informazione non è stata mai diffusa.

Sono stati definiti i tempi massimi di attesa – differenziati in prestazione urgente, breve, differita e programmata – sforando i quali si ha diritto all’intramoenia e, in alcuni casi all’assistenza interamente privata. La norma ‘occulta’ però finora non ha mai trovato applicazione perché non offerta come opzione ai cittadini, agli esenti addirittura senza alcun costo. Ricorrervi però è semplice: basta chiedere al Cup i tempi massimi di attesa per la prestazione che interessa, verificare se la prenotazione li supera e, in caso positivo inviare al direttore generale “istanza per usufruire di prestazioni in regime di attività libero-professionale”, un semplice modulo di cui tutti i centri prenotazione debbono obbligatoriamente dotarsi.

 

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