Sanità e partecipazione: il grande inganno

Ospedale e territorio. Una moderna organizzazione dei servizi sanitari non può prescindere da scelte strategiche basate su un sistema integrato, su un’organizzazione a rete, su una collaborazione tra pubblico e privato sociale.
Sono decenni che lo slogan si va ripetendo in tutte le salse. Amministratori, esperti, professionisti, semplici cittadini, propongono e guardano con favore al ripensamento di una architettura che vede al vertice, quasi in completa solitudine, l’ospedale come preferenziale erogatore di cure. Quasi che i centri di eccellenza siano gli unici depositari di certezze tecnico-scientifiche proprie di una eletta oligarchia.

Dal 1978, anno della rivoluzione copernicana della sanità, della prima riforma mutuata dal sistema britannico, che faceva dell’universalità delle cure, della prevenzione e riabilitazione punti centrali di tutto l’ordito normativo, ben poco si è investito sul territorio. Di assessori alla Sanità nella Regione Lazio ne sono passati ma gli stanziamenti sono sempre gli stessi: a presidi e servizi locali meno della metà delle risorse disponibili, il rimanente tutto all’ospedale.
A metà giugno, nel corso di una importante manifestazione sulla sanità che si tiene ogni anno a Roma, un navigato politico regionale che di sanità certamente si intende, ha espresso la propria opinione sul tema dei mancati investimenti sul territorio, attribuendo tale scelta a presunte, inconfessabili “convenienze” che avrebbero orientato l’interesse verso l’ospedale. Ci auguriamo che questa sia solo un’opinone non suffragata da fatti, altrimenti sarebbe arduo ipotizzare un futuro per la nostra sanità. A meno che non si inverta la rotta, coalizzando tutte le vittime del sistema, in primo luogo i cittadini-utenti, perché intervengano su un potere sempre più onnisciente e onnivoro. Le aziende sanitarie pubbliche sono amministrate con un atto di diritto privato, il cosiddetto atto aziendale, che offre ampi margini di discrezionalità. Il potere di verifica sui  direttori generali è affidato – quando tale verifica è esercitata – alle Regioni che li hanno nominati.

Nelle mani del direttore generale si concentrano poteri di indirizzo, controllo e gestione e gli anodini organismi di contorno non sono altro che emanazione del vertice. Forse qualche anomalia nel sistema è presente. Un emendamento proposto dal ministero della Salute nel 2007 alla riforma sanitaria ter, la 229 del 1999, prevede la partecipazione delle associazioni organizzate di cittadini alle commissioni di gara. Cosa ne è stato di tale previsione? E il controllo degli utenti sulla organizzazione aziendale, previsto dall’art. 14 bis della legge 502/92, in cosa si sostanzia? Sembra tutto un grande inganno ma non crediamo che la responsabilità sia da attribuire ai soliti noti, ai poteri forti, al sistema. Gli strumenti per contrastare l’attuale andazzo ci sono, l’indignazione è montata a sufficienza, le risorse investite in sanità sufficienti non sono più. Basta temporeggiare.

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One thought on “%1$s”

  1. Complimenti, e per la verità mi interessano molto i Vs articoli.
    Forse se i piani di riconversione fossero stati oggetto di un tavolo partecipato non avremmo avuto tante proteste e la collaborazione di enti locali, associazioni e categorie professionali avrebbe prodotto risultati concreti e processi di cambiamento appropriati ai territori di riferimento.
    Siamo ancora in tempo per una inversione di metodo considerato che non c’è nessun segnale di “lavori in corso” per quella riorganizzazione della rete di assistenza territoriale integrata e certamente ha un peso la responsabilità politica di aver tagliato servizi senza aver prima adottato le misure alternative. Uno spreco di risorse umane, di piccoli ospedali “semi-aperti” ed una grande confusione che si ripercuote come un macigno sulle persone già gravate da problemi di salute…..

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