Ares 118: vince la libertà di parola

In una intervista al quotidiano “Il Tempo” del 6 aprile 2020, denunciò la carenza di dispositivi di protezione individuale (Dpi) per gli operatori del 118 nel pieno della pandemia, situazione nota e già segnalata dai vertici del sindacato che rappresentava, l’Anaao-Assomed. Fu sanzionata dall’azienda che gestisce il soccorso, l’Ares 118, con sospensione e taglio dello stipendio per un mese. Il 13 aprile il Tribunale del Lavoro ha reso giustizia a Francesca Perri – sindacalista e medico dell’emergenza – pronunciandosi contro il provvedimento disciplinare e imponendo ad Ares l’obbligo di pagamento delle spese legali. Difesa dall’avvocato Valentina Piraino, la dottoressa ormai in pensione ha comunque espresso viva soddisfazione, soprattutto per la difesa del principio sancito dall’articolo 21 della Costituzione “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. “Spero che tale sentenza sia di esempio per altri colleghi – ha dichiarato Perri – che continuano a lavorare sotto stress e sotto ricatto costante, se solo osano dire qualcosa che l’azienda vede come minaccia alla propria immagine”. Si, perché con la istituzione delle aziende sanitarie e ospedaliere, in cui molte norme sono mutuate dal privato e la successiva legge del 2015 conosciuta come “legge Madia”, che molto ha innovato e non solo in senso positivo, nel rapporto di lavoro, ai rappresentanti dei lavoratori “Ė inibita qualsiasi espressione volta a sollecitare i vertici del proprio posto di lavoro a migliorare le tutele degli operatori – chiarisce la professionista – un motivo in più perché il concetto di azienda sia cancellato dalla sanità pubblica. La Costituzione, con l’articolo 32 ha affidato a noi sanitari il compito di tutelare la salute dei cittadini e, a tal fine, siamo chiamati a un’altissima missione che non può essere frenata dalla difesa della immagine di aziende che dovrebbero garantire una migliore efficacia ed efficienza, cosa che a tutt’oggi ancora devono dimostrare”. All’epoca del provvedimento disciplinare, in difesa della professionista si espressero immediatamente i vertici sindacali, definendo la sanzione “Un ulteriore attacco alla libertà di parola che, in un Paese democratico non può essere tollerato”. E questa volta, la libertà di espressione si è imposta al di sopra di tutto.  

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