Infermieri.“Non santi né eroi: siamo professionisti”

Flash mob in 32 piazze italiane. Gli infermieri ci sono e si fanno sentire. E vedere. Allineati nel rispetto della cosiddetta distanza di sicurezza, differenziandosi da altri raduni. Loro che hanno affrontato faccia a faccia la sofferenza, la malattia, la morte, scelgono il 15 giugno per rivendicare il riconoscimento di una professionalità da sempre negata. “Siamo le colonne portanti della sanità” sostiene Stefano Severini, portavoce del Movimento nazionale infermieri per Viterbo e provincia “il nostro lavoro è altamente qualificato ma poco considerato”, insiste. Ogni infermiere ha un palloncino rosso, in ricordo dei colleghi morti di coronavirus e non appaiono le tradizionali sigle sindacali, si privilegia la connotazione di movimento spontaneo. Sul piatto delle rivendicazioni, in primo luogo c’è la separazione dagli altri dipendenti del comparto sanità e, al pari dei medici e degli altri dirigenti, un contratto esclusivo per la categoria con adeguamento stipendiale e delle indennità. Segue l’ampliamento delle dotazioni organiche con lo scorrimento delle graduatorie in itinere, la lotta al precariato e il diritto alla mobilità. Infine, non per importanza, l’equiparazione del dipendente pubblico con l’infermiere che lavora nel privato. Ad animare la protesta dei professionisti dell’assistenza non è solo il riconoscimento economico: si battono per incidere su un sistema sanitario che reputano “immobile da decenni e non adeguato ai bisogni emergenti del cittadino”. Su tutto aleggia un senso di abbandono, se non di tradimento, da parte di quelle istituzioni i cui rappresentanti, oltre ad appellare gli infermieri quali “angeli, eroi, combattenti”, non si sono spinti. Delle promesse gratifiche, bonus, indennità speciali non si vede traccia, se non in roboanti annunci, contraddetti nei fatti.

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