Proteste, appelli alle istituzioni, raccolta firme. Sono mesi che 5.000 cittadini combattono, invano, per difendere un diritto costituzionalmente garantito all’articolo 32 della Carta: la tutela della salute. Colle del Sole, periferia romana sulla Prenestina, dove sembra che la città finisca e dove invece la vita pulsa e si va avanti senza il conforto di servizi essenziali come il medico di famiglia. La disperazione di persone fragili, anziani, famiglie si consuma davanti a una serranda chiusa dal 3 luglio 2023 che nessuno ha la capacità o la volontà di riaprire. Lì era stato ricavato l’ambulatorio di un medico di medicina generale che ha optato per uno studio associato con altri colleghi, in una zona limitrofa ma difficile da raggiungere in un quartiere di confine, con un servizio di trasporto ridotto ai minimi termini. L’ultima, estrema forma di protesta i cittadini, su impulso del battagliero Comitato di quartiere, l’hanno affidata a un’amara ironia e, approfittando del Carnevale, hanno allestito un camion trasformato in ambulatorio con tanto di croci rosse e flebo annessa. Un ambulatorio viaggiante perché tutti sappiano, ma chiuso – come è scritto a caratteri cubitali – nella speranza che le istituzioni si scuotano dal torpore. Per primo lo ha fatto il VI Municipio, guidato da Nicola Franco, in cui la presidente della commissione Bilancio, Servizi sociali e Sanità Barbara Del Bello ha convocato il 13 febbraio prossimo il presidente del Comitato di quartiere, Alessandro Alessandri in audizione, per discutere le problematiche relative ai medici di base. Si spera in una mozione del parlamentino, con cui si sollecitano le istituzioni competenti a risolvere l’insostenibile situazione. Una criticità ormai annosa, che riguarda tutta la Regione Lazio e a Roma, in particolare, le periferie disagiate. Tre anni fa i medici di medicina generale sul territorio regionale erano 4.354, oggi sono ridotti a 4.056. Solo nella capitale erano 2.526 e ora sono 1.982, oltre 500 in meno. Dovrebbero essere 5.400 in tutta la regione e nella capitale ce ne vorrebbero più o meno 2.800. Purtroppo, per la nota carenza di camici bianchi, si rischia un’ulteriore riduzione del 40% entro il 2025, perché molti dottori di famiglia andranno in pensione. E, se da una parte le cosiddette “Unità di cure primarie” hanno facilitato la gestione degli ambulatori per molti medici, che condividono lo stesso studio con minori costi di gestione, questa riforma avviata nel 2007 non ha certamente agevolato i residenti che si trovano a vivere in zone meno attrattive. Spetta ora alla Regione Lazio colmare la lacuna, formulando un bando per la copertura delle cosiddette “zone carenti di assistenza primaria”, al fine di garantire a tutti i cittadini non solo il rapporto ottimale previsto, di un medico ogni mille abitanti residenti ma anche la vicinanza degli studi medici. L’accessibilità e l’assistenza debbono essere garantite in primo luogo a persone anziane, con patologie invalidanti o con ridotta mobilità, che si spostano con i mezzi pubblici soprattutto in periferia. Da tempo doveva essere emanato tale provvedimento ma, al momento, i territori ancora attendono soluzioni.

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