“L’Affaire” Forlanini arriva alla Corte dei conti. Con un dettagliato esposto che ha ad oggetto la “Tutela e salvaguardia dell’ex complesso ospedaliero”, un gruppo di associazioni di difesa dei diritti dei cittadini, interroga i giudici contabili sulle “modalità di dismissione e cessione di immobili” e per la presunta “irregolare valorizzazione del complesso”. L’iniziativa è volta a “verificare se sussistano o meno elementi che possano integrare illeciti di natura amministrativo-contabile” e a suffragio del documento, scorrono in dieci pagine – corredate da una robusta documentazione – tutte le vicende che hanno caratterizzato una delle più discusse cancellazioni di una struttura sanitaria universalmente rimpianta. Molte sono state negli anni, le iniziative pubbliche, gli interventi di cittadini, associazioni, professionisti, personalità della cultura e dello spettacolo, finalizzate a chiedere un ripensamento alla Regione Lazio, che il 30 giugno 2015, davanti a un migliaio di persone accomunate nella protesta, impose la chiusura dello storico cancello di piazza Carlo Forlanini. Niente da fare, se non una serie di annunci da parte dei vertici di viale Cristoforo Colombo, con le proposte più svariate per la destinazione della struttura, finite nel nulla. Nell’ordine: uffici regionali, cittadella della pubblica amministrazione, casa dello studente, sede di organizzazioni solidali internazionali, agenzia per la ricerca biomedica e da ultima, la proposta di allocare nell’immenso parco di Monteverde e negli storici e malandati padiglioni i reparti dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù, trasferendoli dal Gianicolo e attribuendo all’area lo status di zona extraterritoriale destinata a servizi della Santa sede. Senza alcuna considerazione per le ricorrenti raccolte di firme dei cittadini – 45mila nel 2008 e ben 118mila nel 2020 – che chiedono da decenni il riuso del complesso a servizi sociosanitari. Non è servito neanche il progetto del professor Massimo Martelli, che porta la data del 2010, quando l’ex chirurgo toracico del Forlanini, in veste di commissario dell’azienda ospedaliera, propose una dettagliata riconversione in linea con le richieste della collettività e con le evidenze epidemiologiche della popolazione. Un piano di restyling annunciato più volte sui media e indirizzato a una amministrazione regionale rimasta sempre sorda. Quello che sorprende, tra le righe dell’esposto, è la dettagliata elencazione delle numerose normative, statali e regionali, a supporto di un possibile riuso dell’immobile, soprattutto per eliminare il gravoso esborso di risorse per i canoni passivi, ovvero gli onerosi affitti versati dalle casse della sanità pubblica annualmente a privati, inclusa la Croce Rossa provinciale di via Ramazzini, privatizzata nel 2012, in cui hanno sede gli ambulatori della locale Asl Roma 3. E ancora, altri presunti incauti impieghi di fondi pubblici nel periodo della pandemia, quando da più parti fu invocato il riutilizzo del corpo centrale dell’edificio ospedaliero, dotato di tutte le tecnologie per la rianimazione, che a detta degli esperti avrebbe potuto essere adibito ad accogliere i pazienti affetti da Covid in tempi accettabili. Si è preferito ricorrere al privato religioso e imprenditoriale – Columbus, Centro clinico Casalpalocco, Regina Apostolorum di Albano, Campus biomedico, Policlinico Gemelli, Villa Tiberia – e alle stanze di albergo per i Covid positivi non gravi. Una vicenda su cui gli esponenti, chiedono trasparenza ai giudici contabili i cui giudizi nei confronti degli amministratori degli enti locali non sono stati mai indulgenti.

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