Contratti d’oro all’Asp: “D’Ubaldo risarcisca”
“Condotta gravemente colposa”. La sezione giurisdizionale della Corte dei conti del Lazio ha bollato così il provvedimento con cui nell’aprile 2006 è stato siglato il contratto tra l’Agenzia di sanità pubblica – il cui presidente era il senatore Lucio D’Ubaldo – e Claudio Clini, nominato direttore generale dell’ente strumentale della Regione. L’esponente del Pd, attualmente vicepresidente della Commissione parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe tributaria, avrebbe sottoscritto un accordo “esorbitante rispetto a quanto previsto dai parametri di legge” e dovrà restituire 170 mila euro. L’irregolarità sarebbe emersa nel 2008 con una verifica del ministero dell’Economia. Nessun direttore percepiva 193 mila euro annui più il 20 per cento di premio di produzione, in tempi di piano di rientro. Per questo i magistrati contabili hanno ravvisato “una palese violazione della disciplina in materia”. Il senatore del Pd invoca la propria buona fede e parla di contratto sottoposto a tutte le verifiche del caso mentre i giudici parlano di negligenza e superficialità da parte degli uffici amministrativi, consistente in “un mancato supporto alla attività contrattuale dell’Asp”. I funzionari non avrebbero fornito alla presidenza la corretta documentazione né pareri giuridici conformi al dettato di legge che prevedeva, per i manager sanitari, una retribuzione pari a 155 mila euro annui. Il rapporto tra Clini – già direttore generale del San Camillo Forlanini di Roma e dell’ospedale Santobono di Napoli – e l’Asp si concluse il 28 settembre 2009 e nei tre anni di gestione l’Agenzia di sanità pubblica del Lazio, ente di supporto all’assessorato alla Sanità della Regione vide lievitare, insieme a compiti e competenze, la dotazione di personale di ogni qualifica, in particolare dirigenti, di cui un gran numero in comando da altre strutture sanitarie.
La cura dimagrante è iniziata da tempo
Fu per prima l’Associazione di tutela dei diritti “Giuseppe Dossetti” a lanciare l’allarme. Era il 24 ottobre 2008 e in un comunicato si definiva l’Agenzia di sanità pubblica del Lazio “un monumento allo spreco”. Sotto accusa il numero dei consiglieri di amministrazione, dirigenti, consulenti, costi e competenze che, secondo il portavoce dell’osservatorio “Dossetti” Corrado Stillo “non si capisce perché, in tempo di tagli e sacrifici per i cittadini, non siano riassorbite dall’assessorato alla Sanità della Regione”. L’argomento fu ripreso da diversi quotidiani e rilanciato da Publio Fiori, segretario di “Rifondazione democristiana”, che con un esposto, chiese l’intervento della magistratura contabile per “accertare se l’attività dell’Agenzia non determini una spesa dannosa per il bilancio della Regione”. Da tempo, in seno all’ente, è in atto una riorganizzazione tesa a ottimizzare risorse e prestazioni.