Sanità e riarmo: il no del generale
In un convegno al Parlamento Ue, Vannacci condanna le spese per armi a discapito della sanità
Ė il paradosso per antonomasia: nella seduta plenaria del parlamento europeo a Strasburgo, tenutasi il 18 giugno, Roberto Vannacci nel suo intervento si è pronunciato convintamente contro le politiche di riarmo che da qualche tempo animano i vertici dell’Unione. Proprio lui, il generale che la guerra l’ha affrontata sul serio e ne capisce profondamente le conseguenze, ha ribadito il concetto alcuni giorni dopo, nella Conferenza internazionale “Professione sanità: resistere, evolvere, proteggersi, tra carenze, burnout e violenza” un momento di riflessione in cui sono state analizzate le principali criticità del sistema sanitario europeo e italiano: carenza cronica di personale, fuga all’estero di giovani specializzandi, esaurimento fisico e mentale (burnout), turni massacranti, aggressioni in corsia e mancata integrazione dei professionisti stranieri. Su quest’ultimo tema, è intervenuto fornendo dati e analisi approfondite, Foad Aodi, presidente di Amsi, l’associazione dei medici stranieri in Italia. Da tempo il professore è impegnato per tutelare l’attività di dottori, infermieri, fisioterapisti, rilevando come la burocrazia e le difficoltà di inserimento, rendano la vita dura ai professionisti stranieri che pure, con la loro presenza, hanno evitato la chiusura di numerosi reparti in crisi di personale. “La salute è il cuore dell’Europa: senza chi cura, non possiamo costruire un futuro condiviso – ha esordito il presidente – in un momento così delicato, è fondamentale parlare di chi ogni giorno tiene in piedi il nostro sistema: medici, infermieri, operatori sociosanitari che spesso lavorano in condizioni estreme, senza tutele e senza il riconoscimento che meritano”. E ha illustrato un pacchetto di proposte, che costituiscono il cuore del “Manifesto per una buona sanità” che Amsi sostiene dal 2000, “con l’obiettivo di costruire un sistema sanitario più equo, integrato e rispettoso delle competenze di tutti”. Secondo le rilevazioni dell’Associazione medici stranieri, in Italia lavorano oggi oltre 110mila professionisti sanitari di origine straniera, tra cui più di 43mila infermieri. Nonostante il loro contributo, il 65% dei medici e professionisti della sanità stranieri in Italia resta escluso dal Servizio sanitario nazionale e solo il 28% riesce a lavorare nel pubblico. È una situazione inaccettabile secondo il professore perché ci si impegna in formazione poi si lascia ai margini una sostanziosa parte di tali professionisti, mettendo in discussione la loro integrazione e favorendo lo spreco di competenze.