La fabbrica del consenso

Salute, una delle priorità per gli italiani, al secondo posto dopo il lavoro. Autorevoli sondaggi tv, indicano che un’alta percentuale di cittadini chiede ai pubblici poteri più garanzie sul diritto ad essere curata, accolta in ospedale in tempi ragionevoli, dimessa nella massima sicurezza. La sentenza della Cassazione n. 8254 del 2 marzo, ribadisce la responsabilità del medico accusato di omicidio colposo per aver mandato a casa un paziente nei tempi previsti dall’amministrazione ospedaliera, basati sulle c.d.  linee guida, sancendo il diritto fondamentale dell’ammalato di essere curato, al di là di quanto stabilito in documenti di non provata scientificità.
Il diritto alla cura e alla presa in carico si eleva così al di sopra di qualsiasi interesse economico. Una sentenza rivoluzionaria, che farà discutere per molto tempo i gestori della salute pubblica, gli operatori,  i cittadini.
Da una parte i sostenitori dell’aziendalismo,i giacobini del perseguimento della economicità di gestione, i cinici pragmatici della quadratura dei bilanci; dall’altra i fautori dell’umanizzazione delle cure, del rispetto della persona, dell’assistenza a tutto tondo indipendentemente dai problemi di deficit insanabile.
Al centro l’impossibilità di raggiungere il pareggio in bilancio, il timore del medico di sbagliare, il ricorso alla medicina difensiva – con il conseguente lievitare dei costi – l’inevitabile riduzione dei servizi.
Come trovare un punto di incontro, arrivando a quella sanità ideale auspicata da tutti? La riforma sanitaria del 1978, dell’universalismo delle cure, della prevenzione, dei presidi territoriali di base, ha subito profonde revisioni perché mancante delle previsioni economiche per la sostenibilità del sistema.
Le aride cifre hanno un valore, specie in un settore in continua evoluzione ma ha un valore anche l’offerta sanitaria, con l’accoglienza e la risposta ai bisogni. Lotta agli sprechi: su questo bisogna incidere. Taglio agli sperperi, non riduzione dei servizi. I soldi per la salute ci sarebbero, se la sanità pubblica non fosse strumento di consenso politico.
Quante scelte amministrativo-gestionali sono fatte in nome del diritto alla salute, quante decisioni sono assunte per favorire questo o quel potentato politico e professionale? Parcellizzazione di servizi, moltiplicazione di incarichi, dotazioni eccessive di apparecchiature di alta complessità. A chi giova tutto questo? Pubblichiamo in questo numero la testimonianza di un medico di famiglia che racconta le perplessità di un cittadino alla notizia della chiusura di molti ospedali. Proposta inaccettabile, per lo stupito paziente, di fronte al calvario vissuto dalla propria mamma in attesa ore ed ore in pronto soccorso. E’ argomento di scottante attualità,l’episodio potrebbe essere cronaca recente. L’articolo però risale a più di dieci anni fa, in esso è contenuta la proposta che da sola avrebbe potuto risollevare la sanità dal baratro. Se dieci anni vi sembran pochi…

Commenti Facebook:

Commenti