Valeria, una giovane mamma di 27 anni, morta per arroganza e insipienza. Ha iniziato a peregrinare tra gli ospedali di Roma il giorno di Natale, tra presunte prestazioni affrettate (complice il giorno festivo?), diagnosi errate, atteggiamenti respingenti e perfino irrisione. La sua vicenda inizia per un fastidio sotto l’ascella – procuratole da un presunto ascesso resistente alle cure e asportato al Campus Biomedico di Trigoria proprio il 25 dicembre – e si trascina fino al 10 gennaio, in un ingiustificabile andirivieni tra un nosocomio e l’altro. In questo assurdo peregrinare Valeria, le cui condizioni peggiorano di giorno in giorno, viene respinta per carenza di posti letto, forse criticata per i gravi sintomi che manifestava senza essere creduta, visitata e sottoposta a esami più e più volte, senza che a nessuno sia venuto un dubbio sulle reali condizioni della giovane mamma se non al quarto accesso in pronto soccorso, troppo tardi per salvarla dalla presunta meningite batterica su cui solo l’esame autoptico stabilirà la verità. Oltre alla commozione per la giovane vita stroncata, riteniamo che il sentimento collettivo sia di sdegno, per le prime risposte fornite dalle istituzioni. Il solito, rituale quanto formale ricorso al “Serio e puntuale audit specifico per capire le esatte motivazioni e verificare l’esatta applicazione dei protocolli clinici e assistenziali”. La dichiarazione è dell’attuale assessore alla Sanità della Regione Lazio Alessio D’Amato, candidato del Terzo Polo e del Pd alla carica di presidente regionale nella consultazione del 12 e 13 febbraio. La persona che, insieme al presidente e già commissario ad acta per la sanità Nicola Zingaretti, ha gestito il delicato settore. Più che parole di cordoglio, dall’assessore abbiamo sentito imbarazzate giustificazioni, volte a dimostrare quanto il Lazio sia “La prima regione per assunzioni negli ultimi due anni” e indicazioni al governo perché tolga il vincolo di spesa fermo al 2004 che non consente ulteriori acquisizioni di professionisti, oltre alla inevitabile richiesta di ulteriori risorse per il servizio sanitario “per l’abbattimento delle liste di attesa da parte del governo nazionale”. A questo punto, sarebbe più opportuno il silenzio: una campagna elettorale dignitosa, in cui non si affronti il tema sanità, perché non scorgiamo giustificazione alcuna in ospedali che respingono piuttosto che accogliere. Non sappiamo quale analisi del caso possano fornire i rivoluzionari aziendalisti da salotto, le cui teorie hanno privato il Lazio, in dieci anni, di 16 ospedali e 3600 posti letto, con l’acquiescenza dei loro sodali decisori politici. Anche da parte loro, sarebbe opportuno un rispettoso silenzio.  (Nella foto: ingresso del Campus Biomedico)

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