Covid19, profitto in sanità e ‘comunismo scientifico’

Ricorrono quest’anno i quarantadue anni dall’approvazione della riforma del Servizio sanitario nazionale (Ssn) e sono passati pochi giorni dal compleanno della sua ispiratrice – la prima donna ministro della nostra Repubblica – Tina Anselmi, che lo scorso 25 marzo avrebbe compiuto 93 anni. Politica e politici d’altri tempi, in cui un sistema complesso prendeva in carico il paziente nel senso olistico del termine, quanto di più lontano si possa immaginare da un concetto puramente aziendale, basato su costi e ricavi. In questi giorni ognuno di noi si sente più fragile di fronte ad un virus sconosciuto e tutti stiamo rivalutando il ruolo della sanità pubblica. Quando si sta male non c’è prodotto interno lordo che tenga e anche le economie più potenti dovranno rivedere i loro piani in vista della ripartenza, che si annuncia per forza di cose graduale e lascerà un segno in tutti noi.  

La lottizzazione compiuta dai vecchi partiti ha screditato la politica e ha spinto gli amministratori, all’inizio degli anni Novanta, nel vuoto creatosi dopo Tangentopoli, a trasformare il Welfare in un business, affossandolo. Ma la salute non è una merce, forse deve averlo pensato anche il premier Johnson, che ha sperimentato suo malgrado, sulla sua pelle, l’immunità di gregge. Quando stiamo male ogni calcolo diviene freddo e disumano perché la salute non ha prezzo. In attesa del mondo perfetto di Gino Strada, in cui il profitto deve essere completamente bandito dalla sanità, ci accontenteremmo della proposta dell’economista Emiliano Brancaccio che, in collegamento con Rai News 24, avendo sullo sfondo le foto di Gramsci, ha parlato di comunismo scientifico. La comunità internazionale di virologi ed immunologi mette a fattor comune il sapere per sconfiggere al più presto la malattia e dare un buon esempio anche alla politica.      (Andrea Ugolini)

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