Leodori: “San Giacomo mai più ospedale”

Ė una risposta lapidaria – che comunque ammetterebbe molte repliche – quella che il vicepresidente della Regione Lazio Daniele Leodori ha fornito alla consigliera regionale Francesca De Vito (FdI) sulla sorte dell’antico ospedale romano San Giacomo. “Di sicuro il San Giacomo non potrà tornare a essere un ospedale” è quanto asserito, in riferimento a una interrogazione in aula del 15 giugno, in attesa del responso definitivo che sarà emesso dalla Corte di Cassazione il 12 luglio. Una lunga vicenda, che va avanti dal 31 ottobre 2008, giorno in cui l’allora presidente della Regione Piero Marrazzo mise i sigilli allo storico nosocomio, in linea con una politica di risparmi che vide per la sanità regionale una triste stagione di tagli lineari. Da quel momento, tra la pressione dell’opinione pubblica, le campagne stampa e la vincente ostinazione di Oliva Salviati, erede del cardinale Antonio Maria – che nel che nel 1593 donò l’immobile ai romani, vincolandone l’uso a presidio ospedaliero – la sorte del nosocomio è stata appesa al sottile ma indistruttibile filo delle pronunce giudiziarie, tra cui quella del 7 aprile 2021, della terza sezione del Consiglio di Stato presieduta da Michele Corradino, che pone il diritto alla salute al di sopra di qualsiasi “discrezionalità amministrativa”, ancorché legata ad esigenze economiche. L’ente presieduto da Nicola Zingaretti non si è dato per vinto e ha adito la massima istanza, scomodando perfino il decreto legislativo numero 42 del 2004 “Codice dei beni culturali”, solitamente ignorato in Regione quando si tratta di rivendicare sacrosante tutele ambientali e relative al patrimonio storico-artistico. Nonostante le evidenze, nella risposta all’interrogante si ribadisce “l’ineluttabilità della scelta a suo tempo operata, alla luce di circostanze che supportano il fatto che alcuna lesione ai diritti della collettività, in termini di fruizione delle prestazioni sanitarie e di assicurazione al diritto alla salute, è stata perpetrata”. In sintesi, secondo gli amministratori regionali, la sanità avrebbe funzionato alla perfezione nell’ultimo decennio, garantendo il pieno godimento del diritto alla salute. Chissà cosa ne pensano le migliaia di cittadini in attesa di un posto letto per ore o giorni in pronto soccorso o peggio, i pazienti afflitti da Covid chiusi nelle ambulanze bloccate nel periodo più feroce della pandemia. E nella vicenda, si inserisce una inspiegabile vendita dell’edificio a un fondo immobiliare, per 61 milioni di euro di cui quasi 18 sarebbero stati già incamerati dagli uffici di via Cristoforo Colombo, atto che l’esponente di Fratelli d’Italia ha fortemente stigmatizzato nel suo intervento in aula, sottolineando inoltre l’incongruenza di nuovi, mastodontici cantieri per la realizzazione di altrettanto faraonici ospedali. La motivazione su cui si basa l’opposizione dell’ente regionale alla riapertura, si riferisce inoltre alla “impossibilità di adeguare la struttura esistente agli standard richiesti dalle esigenze ospedaliere”. Basti pensare, che proprio per adeguare tali standard, nel primo decennio del 2000 per il San Giacomo sono stati impiegati ben 20 milioni di euro, come attestano numerose deliberazioni della direzione generale. Più di 10 milioni sono andati alla dotazione di strumentazioni, arredi, ristrutturazione e posa in opera degli apparecchi della diagnostica per immagini e anatomia patologica. Altri 2 milioni 441mila e 384 euro sono andati all’ambulatorio di fronte all’ospedale in via Canova, diventato poi “sostituto” del nosocomio chiuso. Tra le ristrutturazioni si inseriscono i reparti di rianimazione, cardiologia, il servizio farmaceutico e lo spogliatoio del personale. Ulteriori fondi impiegati per la bonifica degli impianti di tutti i servizi, la loro messa a norma e la ristrutturazione del reparto ortopedia. Il tutto per arrivare a un ospedale con tutti i crismi rispondenti, appunto a quegli standard che secondo la Regione Lazio oggi sarebbe impossibile raggiungere.

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