My personal Covid: dall’inferno, il monito per tutti

Un uomo e il ‘suo’ Covid. Viaggio all’inferno e ritorno. Una storia che Luigi Carletti, al contrario di molti altri, ha potuto raccontare. Una cronaca attenta ed empatica, alle prese con il più temuto degli ospiti che il nostro corpo possa ricevere: il coronavirus. In “My personal Covid” l’Autore ti conduce a mano a mano, impercettibilmente, nel vortice della malattia dal primo manifestarsi, accompagnato dalla consolidata quanto sciagurata raccomandazione “paracetamolo e vigile attesa”, fino ai giorni in ospedale, il Policlinico Umberto I appeso a un filo anzi, a un ascensore. Il confine tra la divisione di degenza, al primo piano per i casi di minore gravità e la terapia intensiva, per lo stadio avanzato. In questa testimonianza scritta “a caldo”, l’Autore con la sua prosa incalzante, contrassegnata a tratti da una amara ironia, mette a nudo ogni aspetto del precipizio in cui sprofondi a causa del più sconosciuto “subdolo, malvagio, imprevedibile virus”: il Corona che ti conduce alla patologia da Covid, declinata al maschile quasi a volerne sottolineare la virulenza con cui si accanisce contro alcuni organismi. Questo tragico e illuminato diario inizia l’8 maggio, giorno in cui il protagonista dovrebbe ricevere la sua prima dose di vaccino. Quasi una beffa. Con addosso i sintomi inequivocabili della temuta affezione da giorni, ha osservato con diligenza i dettami dell’inadeguato protocollo sostenuto strenuamente dalle autorità politiche e, ciò che è più grave, dalla comunità scientifica. Finché il suo istinto salvifico non ha avuto il sopravvento. Così, tra i corridoi dell’antico ospedale universitario, tra infermieri e medici bardati ma ricchi di impareggiabile umanità, tra infernali strumenti di cura che con invidiabile maestria riesce a umanizzare – il professor Ega, apparecchio di emogasanalisi è paradigmatico – Carletti innalza una vicenda personale a monito corale, proponendo interrogativi che pochi, a tutt’oggi, riescono a soddisfare. Dalla critica alla “vigile attesa”, alla constatazione di essere, l’Italia, il Paese con il più alto numero di morti, passando per l’analisi spietata di una sanità ridotta a brandelli, il giornalista-editore non si risparmia nell’atto di accusa a “quei politici che nei loro anni di governo hanno smantellato pezzo per pezzo” la sanità pubblica”.  E se la pandemia ci ha messo di fronte all’amara realtà, il coraggio di un testimone dei nostri tempi dovrebbe indurci a riflettere e correggere i nostri errori. Speriamo che basti. Per info: www.typimedia.it

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