Zingaretti indagato: gli atti che imbarazzano la Regione

“Se la Regione Lombardia o la Regione Toscana o l’Umbria hanno posto in essere atti illegittimi e contrari alle leggi nazionali, non significa la Regione Lazio debba adeguarsi pedissequamente”, così il consigliere regionale Antonello Aurigemma ha replicato all’assessore alla Sanità Alessio D’Amato, nella seduta del 6 novembre 2019, in cui si discuteva la legittimità della nomina a direttore amministrativo di Tommaso Antonucci alla Asl Roma 6 Castelli Romani-litorale. Ha portato l’elementare esempio del semaforo rosso, il consigliere di Fratelli d’Italia, che con ripetute interrogazioni rivolte ai vertici della Pisana e con un esposto in Procura ha sollevato un caso di non poco conto nella compagine regionale, esploso di recente nelle cronache romane. Non si attenua la preoccupazione negli ambienti politici regionali, sull’incendio divampato il 22 gennaio scorso, relativo alle imputazioni di abuso d’ufficio, falsità commessa da pubblico ufficiale e rifiuto d’atti d’ufficio, mosse nei confronti del presidente Nicola Zingaretti e dell’assessore alla Sanità Alessio D’Amato dai magistrati di Roma. Una grana che neanche la possibile riforma di tale reato, annunciata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte potrebbe attenuare, non essendo le disposizioni relative alla materia penale soggette a retroattività nel nostro Paese. E gli atti in esame, potrebbero addirittura condurre a un conflitto di attribuzione Stato-Regione Lazio per avere quest’ultima esorbitato da disposizioni legislative statali. La normativa più attuale, di modifica del decreto legge 502 del 1992 di “Riordino del Servizio sanitario nazionale”, è dettata dal decreto legislativo 171 del 2016 e prevede, per la nomina delle figure apicali di Asl e ospedali, oltre al diploma di laurea e allo specifico attestato di formazione manageriale “comprovata esperienza dirigenziale almeno quinquennale, nel settore sanitario o settennale in altri settori, con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche e o finanziarie, maturata nel settore pubblico o nel settore privato”. Per la Regione Lazio, al contrario, sarebbe sufficiente “lo svolgimento di qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa, con diretta responsabilità delle risorse umane, finanziarie e strumentali” anche al di fuori della sanità, come stabilito dalla determina (atto regionale) G14590 del 25 ottobre 2019, che fa riferimento a un ginepraio di norme, per lo più delibere di giunta regionale, dietro il cui esame si può perdere la testa. Per questo, l’assessore alla Sanità D’Amato è fermo sulle sue decisioni. Convinzioni che si basano sulla informativa fornita alla Regione dal direttore generale della Asl Roma 6 Narciso Mostarda, secondo cui il dottor Antonucci avrebbe tutti i crismi per ricoprire tale incarico. Sulla base del curriculum “stellare” dell’interessato non è facile contestare tale assunto. Antonucci è stato, tra l’altro, direttore al Bilancio della Regione Lazio, vicepresidente della Fondazione policlinico Tor Vergata, organo vigilante degli Ifo Regina Elena e San Gallicano e direttore generale della Sanigest, che fa capo alla famiglia Garofalo, un gruppo privato di punta della sanità regionale. Secondo D’Amato, la ‘ratio’ degli atti regionali – la cui legittimità sarà vagliata ora dagli inquirenti – risiederebbe nella volontà di “allargare a una platea di professionisti più ampia la possibilità di accedere agli incarichi apicali nelle Asl, anche sulla base di quanto posto in essere in altre Regioni”. Peccato che tale estensione nell’ammissione dei dirigenti non risulti da alcun atto di Lombardia, Toscana e Umbria. Non avalla tale decisione il sindacato Fedir, che rappresenta i dirigenti della sanità pubblica, il cui segretario generale Elisa Petrone, all’epoca chiese “l’immediato ripristino della legalità spudoratamente violata”. Soprattutto, secondo Aurigemma, “al di là di norme e leggi, tale decisione dimostra la poca sensibilità che si ha nei confronti dei pazienti della nostra Regione” e soprattutto, per l’esponente di FdI, “non si capisce come una delibera della giunta regionale, organo meramente esecutivo, possa andare a modificare una legge-quadro nazionale”.

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