Caos Covid: “l’ambulanza diventa ‘sala rossa’”

Ormai è verità acclarata: decenni di tagli indiscriminati alla sanità pubblica hanno determinato gravi carenze che l’epidemia da Covid-19 ha reso tangibili. Lo hanno ripetuto a gran voce le organizzazioni sindacali e politiche che il 19 novembre si sono riunite, nel rispetto delle norme anti contagio, in presidio sotto la Regione Lazio in rappresentanza di medici e infermieri esasperati. Federazione Cobas, Usb, lavoratori delle cooperative, il movimento Potere al popolo e le donne delle assemblee dei consultori, hanno rivendicato la medicina del territorio – sfuggente protagonista di questi mesi – hanno richiesto assunzioni e stabilizzazioni di personale, che spesso rimangono solo annunci, hanno evidenziato ancora una volta il ruolo centrale della sanità pubblica nella gestione della pandemia, denunciando la sottrazione di risorse da questa a presunto vantaggio dei privati. Sotto la accusa le ambiguità burocratico gestionali che nel Lazio hanno ritardato la creazione delle cosiddette Usca, unità di continuità assistenziale a domicilio, istituite dai decreti del presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel mese di marzo per seguire i casi Covid dei non ricoverati ed entrate in funzione in numero inferiore del 50 per cento rispetto alle previsioni. Nel Lazio le stesse sono state sostituite dalle ‘Uscar’, bisticcio linguistico che denota però una gestione del tutto diversa dei team, che dovevano essere espressione dei distretti territoriali delle Asl mentre in regione sono gestiti a livello centrale dall’Istituto per le malattie infettive Spallanzani https://www.sireneonline.it/wordpress/?p=6744 e non avrebbero, secondo i manifestanti, soddisfatto la domanda di assistenza di persone affette dal virus e curate a domicilio. A complicare le cose, una recente sentenza del Tar che, su ricorso del sindacato Smi ha stabilito che le visite a casa non competono ai medici di famiglia ma agli specialisti. Una situazione complessa e delicata, di tutti contro tutti, in presenza di una epidemia difficile da combattere ad armi spuntate.” Basterebbero più assunzioni di personale – invocano all’unisono i manifestanti – la regione in questi anni ha tagliato la sanità pubblica, reindirizzando le risorse sul privato convenzionato, che comunque si rivolge al pubblico in casi estremi come la necessità di terapia intensiva”. Secondo Francesca Perri, sindacalista e medico dell’Ares 118  “le disfunzioni organizzative degli ospedali ricadono su di noi e sui pazienti fermi nelle ambulanze per cinque, sei, sette ore. Mezzi che fungono da sala rossa (quella che accoglie i pazienti gravi in pronto soccorso, ndr) perché non ci sono i posti letto, non ci sono le barelle. In Italia abbiamo solo 5.400 posti di terapia intensiva mentre la Germania ne ha 28 mila. Tagli ventennali a tutto vantaggio del privato”.

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