State sereni, c’è il “triage anagrafico”

Italiani uguali per la Costituzione, uguali davanti alla legge ma non di fronte alle cure. Domenica di Ognissanti. La mattina festiva e tranquilla viene movimentata da una serie di telefonate. In redazione chiama Rosa (il nome è di fantasia) in preda alla disperazione: chiede aiuto per sua mamma. La donna, 98 anni, ospite di una Rsa del quartiere Ostiense, è stata trasferita dalla residenza per anziani al Sant’Eugenio perché affetta da Covid-19. Da lunedì 26 ottobre è stata “depositata” nella cosiddetta “sala rossa Covid” del pronto soccorso è lì è rimasta da una settimana su una barella perché il posto letto non si trova. Al momento dell’accettazione, secondo il racconto della figlia, la donna non presenta sintomi acuti, soltanto un po’ di tosse, da attribuire alla polmonite interstiziale tipica della patologia. Secondo i medici che riferiscono ai familiari le condizioni dei congiunti ogni giorno alle 13, la signora risponde alle cure prestate, sebbene in condizione di precarietà. La promiscuità, la situazione non ottimale, in attesa dell’agognato posto letto in un reparto dedicato, favoriscono una ulteriore infezione da streptococco, che sommata a quella da coronavirus rende tutto più complicato per l’anziana. Ma per il posto letto non c’è nulla da fare. La situazione è quella che è sotto gli occhi di tutti e il Covid-19 è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. I tagli lineari, che nel Lazio hanno portato via 3.600 posti letto e fatto chiudere 16 ospedali negli ultimi anni, sono cosa ben nota. E le vittime di tale stato di cose sono certamente i più fragili: anziani, pazienti con polipatologie (affezioni serie di più organi contemporaneamente, ndr), disabili, persone in condizioni economiche disagiate. Più di tutti preoccupa il serpeggiare da qualche tempo, di una tendenza dai contorni terribili: il cosiddetto “triage anagrafico” ovvero la scelta, in condizioni di sovraffollamento, di prestare le cure ai pazienti meno compromessi, che di solito si identificano con i più giovani. In realtà, di triage anagrafico si parla da tempo. Alcuni studi furono condotti nel 2012 prendendo a modello il pronto soccorso del policlinico Umberto I di Roma. In una corposa relazione di trentotto pagine ricca di dati, grafici, analisi dell’esistente e suggerimenti per la riorganizzazione del reparto di emergenza, l’allora direttore del reparto forniva con dovizia di particolari, soluzioni sul problema del sovraffollamento (overcrowding) e lo stazionamento in barella (boarding) di pazienti nell’area.  L’esame, rispetto alle ore di attesa risulta impietoso e il dato più forte riguarda i pazienti anziani, tanto da far parlare il direttore Claudio Modini di “incivile triage anagrafico, eticamente inaccettabile”. Espressione che valse al responsabile del pronto soccorso la sospensione dalle funzioni. E la storia, fatte le debite mutazioni, sembra ripetersi in tempi di Covid-19, tanto da coinvolgere non solo medici ma rappresentanti delle istituzioni. Tra maldestri tweet, velate allusioni, precise indicazioni sulla base dell’anno di nascita, ci troviamo di fronte a una eugenetica delle cure, come se il Servizio sanitario nazionale applicasse di botto gli stesi criteri di un indennizzo assicurativo. Tanto che viene da chiedersi se tutto sia diventato mercato, perfino la salute, la dignità, il diritto alla vita.  

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