Diritti negati ai nati in un corpo ‘sconosciuto’

A Milano endocrinologi, psichiatri, giuristi, sessuologi discutono dei disturbi dell’identità di genere

Il nome scientifico è “Disforia di genere”, uno stato di disallineamento forte e persistente tra l’identità sessuale – la percezione che l’individuo ha di sé in quanto uomo o donna – e il sesso attribuito alla nascita in base ai dati biologici e cromosomici. Una battaglia che inizia nei primi 5 anni di vita e prende consistenza a mano a mano, toccando il culmine dopo la maggiore età, nel momento in cui la persona decide di fare il grande passo verso il processo di transizione. In Italia il rapporto è di un caso su 10/12mila maschi e uno su 30mila femmine e sovente si confonde con il travestitismo e contesti legati alla prostituzione o la tossicodipendenza. “In realtà non c’è alcuna relazione tra il comune sentire e la questione di identità” afferma Piernicola Garofalo, presidente dell’AmeOnlus e promotore del convegno di esperti tenutosi a Milano il 12 ottobre. Le famiglie in primo luogo, e la società sono impreparati ad affrontare tale condizione. Insistono gli esperti: “dai documenti discordanti al ricovero in ospedale, nel lavoro, all’università, nei viaggi, passando per l’ufficio postale o il seggio elettorale, per non parlare dei servizi igienici o del caso drammatico della reclusione, viene continuamente violata la privacy di queste persone e negato il loro diritto al rispetto della vita privata e familiare, nonostante quanto è sancito dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Diritti che dovrebbero essere tutelati a cominciare dal linguaggio, introducendo le nuove categorie di persone “FtM o MtF”, secondo la transizione da donna a uomo e viceversa.

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