Laboratori analisi: “L’accorpamento è contro le linee guida”

018_018-300x199Laboratori analisi: l’80 per cento dei più piccoli entro il 2015 potrebbe chiudere. Ad agitare il mondo delle provette è il progetto di riorganizzazione che prevede soglie minime di attività per continuare a esercitare. Nei “programmi operativi regionali 2013-2015” si parla di accorpare ai laboratori più grandi le strutture che non raggiungono le 60 mila prestazioni mentre nel 2016 la ghigliottina dovrebbe calare su quelli che non raggiungeranno le 200 mila prestazioni nell’anno. Se in una economia di scala, la riduzione dei centri potrebbe costituire un vantaggio economico in termini di spese di gestione, in realtà, sostengono gli operatori aderenti alle organizzazioni UrsapFederlazio e Federbiologi, “l’accentramento delle prestazioni nei presidi maggiori non comporterebbe alcun risparmio in quanto le stesse debbono comunque essere remunerate dalla Regione Lazio”. Per non parlare della perdita dei posti di lavoro: 2000 nei laboratori e circa 6000 nell’indotto. A impensierire più di tutto gli addetti del settore sarebbero le mire di due multinazionali, la tedesca Synlab e l’austriaca Life Brain, che hanno già comprato alcuni laboratori a Guidonia e sembra abbiano avanzato offerte per altri centri del Lazio che si trovano in difficoltà a causa di questa riorganizzazione e della riduzione dei rimborsi, che da tempo ha visto la contrazione del 60 per cento delle risorse. E c’è chi arriva a parlare di “oligopolio delle provette” che sarebbe favorito dai progetti della Regione Lazio. “Questa riorganizzazione – sostiene Fabrizio Santori, consigliere regionale e membro della commissione Politiche sociali e salute – avrà come conseguenza l’assorbimento in laboratori di grandi dimensioni con l’annientamento delle strutture private che non rientrano nei parametri imposti”. Per non parlare dei disagi per i cittadini, si pensi che in tre province su cinque del Lazio non sono presenti i cosiddetti laboratori “soprasoglia” e della possibilità, paventata dagli operatori, della perdita di qualità delle analisi per la deperibilità del campione, costretto a viaggiare da un laboratorio all’altro. Su tutto questo hanno presentato una interrogazione urgente a risposta scritta i portavoce del Movimento 5 Stelle Davide Barillari e DevidPorrello, mentre si attendono risposte della direzione regionale sanità sulla proposta presentata dai sindacati di settore, volta a istituire la cosiddetta “rete-contratto”, come avviene nella regione Campania.

 

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Laboratori come supermarket? No, grazie

Timori, perplessità, suggerimenti: è tutto contenuto nell’analitica nota inviata il 22 dicembre 2014 a più indirizzi. Tutti i responsabili della sanità – dal direttore della programmazione ministeriale alla cabina di regia regionale, passando per commissari, sub-commissari e dirigenti d’area – vengono sollecitati dal presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi e dai rappresentanti sindacali di UrsapFederlazio e SnabilpFederbiologi a recepire la proposta di “riorganizzazione della rete laboratoristica”, attraverso l’adozione della “soluzione operativa della rete-contratto”, con misure previste dalla legge 33 del 2009 “Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi”. In sintesi, le richieste si articolano nei seguenti punti: distinguere il concetto di “rete” da quello di “centralizzazione”; applicare le linee guida nazionali adeguate alla realtà del Lazio; salvaguardare 7 – 8000 posti di lavoro, garantire la permanenza di 300 piccoli laboratori del Lazio oltre all’indotto, evitare la creazione di posizioni dominanti; evitare il trasferimento a multinazionali tedesche e austriache “peraltro operanti in altre Regioni in violazione delle linee guida in vigore”. Si pensi che i laboratori “soprasoglia”, ovvero con i numeri in regola per superare indenni le previsioni del decreto Zingaretti, nel Lazio sarebbero appena 7 su 331, pari al 2 per cento del totale.

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