Sanità: l’operazione è riuscita
ma il malato è morto

sirene primaTorniamo sulla rivoluzione, o presunta tale, della sanità del Lazio. Una rivoluzione densa di annunci, comunicati, tagli di nastri, poderosi documenti – i decreti del commissario ad acta – e volenterose intenzioni di rendere consapevoli i cittadini di quanto sta avvenendo, attraverso un sito utile solo a chi ha dimestichezza con il pc. Diamo atto al presidente Zingaretti, che ricopre anche il ruolo di commissario per il rientro dal deficit sanitario, di aver insistito sulla creazione di un nuovo modello di sanità territoriale, dopo anni di immobilismo.

Per le rivoluzioni, si sa, ci vuole tempo e mettere d’accordo le varie componenti della sanità regionale è compito arduo. Un attivo manager di un grande ospedale romano sosteneva, qualche anno fa, che per impostare una politica sanitaria che abbia un qualche risultato servono tre anni: il primo per capire, il secondo per programmare, il terzo per agire. Il 2015 dovrebbe essere quindi il momento della svolta, anche se ancora non se ne apprezzano i risultati. Anzi. La crisi del pronto soccorso, atavica e immorale, va avanti da decenni e, se esponenti della più importante organizzazione sindacale ospedaliera – l’Anaao Assomed Lazio – sostengono che il principale motivo delle lunghe attese è dovuto alla carenza di posti letto per i ricoveri, piuttosto che al banale malanno da codice bianco che intaserebbe le sale attesa, non abbiamo nessun motivo per non credergli. Quando il compianto ministro dell’Economia Padoa Schioppa (governo Prodi), nel suo libro verde del 2007 segnalò che il taglio dei posti letto non avrebbe portato alcun beneficio se non nel lungo periodo, nessuno gli dette importanza e oggi ne paghiamo le conseguenze. Appare superfluo continuare a decantare i successi dell’offerta assistenziale nei fine settimana, con presenza di 25 persone al giorno in media in ognuno dei 13 ambulatori aperti, con i medici di famiglia ad accogliere gli assistiti, quando nei gironi infernali dei pronto soccorso se ne ammassano a centinaia. Per raddrizzare la sanità del Lazio, e di molte altre regioni, ci vuole ben altro.

Prima di tutto, capovolgere la politica sanitaria nazionale, programmata dal ministero dell’Economia piuttosto che da quello della Salute. Non sarà certo la rimodulazione dei Lea, i livelli essenziali di assistenza da parte del dicastero di lungotevere Ripa, a riavviare un motore ormai spento, finché i titolari di tale poltrona vivranno in una sorta di timore reverenziale nei confronti dei colleghi di via XX Settembre e degli assessori, o commissari regionali. Il dato riferito alla media di 3,7 posti letto per 1000 abitanti, contro quella di 4,8 dell’Europa è eloquente. Perché l’anno in corso sia portatore di un qualche risultato, si facciano subito scelte dirompenti ed efficaci: riconversione di ospedali dismessi in presidi per lungo degenti e malati cronici. Piuttosto che impegnarsi in lunghe, discusse e imprevedibili ristrutturazioni si indirizzino i fondi per arrivare subito ai risultati. Sarà di minore impatto ma di sicura, maggiore efficacia.

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