Medicina difensiva: un aiuto dal territorio

1359658-ospedalidi Luigi Zulli*

La crisi economica ha portato a una esasperata attenzione al contenimento della spesa e può portare a scelte drastiche, in cui prevalgano orientamenti puramente finanziari. La cosa ha un sapore di disinvestimento, eticamente non accettabile e socialmente non condivisibile, andando ad incidere negativamente sulla salute dei cittadini. Per tale motivo dobbiamo porre nella giusta dimensione il valore della Medicina Difensiva – in un momento di cambiamento del modo e del ruolo della funzione ospedaliera – inserendolo nel più ampio contesto economico, clinico, scientifico, per mantenere livelli ottimali di qualità, miranti all’appropriatezza clinica ed organizzativa, alla congruità delle decisioni, al miglioramento della sicurezza, in piena efficienza, ai fini di una corretta “policy”, nel senso anglosassone del termine. Medicina difensiva significa – definizione Usa Congress 1994 – Medico che prescrive un numero più elevato di esami, procedure anche ad alto rischio tipo biopsie e visite specialistiche o eviti “pazienti a rischio”, principalmente per ridurre la propria esposizione al contenzioso legale. Tale fenomeno è strettamente legato all’aumento costante di richieste di risarcimento, anche in Italia, dove il numero di sinistri denunciati alle agenzie di assicurazione nel campo della RCI, nel settore sanitario è notevolmente aumentato (vedi tabella su www.sireneonline.it). La Medicina Difensiva viene quindi definita come una pratica medica che si pone l’obiettivo primario di protezione verso potenziali contenziosi, rispetto alle effettive esigenze di cura del paziente. Talora questa induce a comportamenti addirittura migliorativi nel modo di praticare la medicina, realizzando una Medicina Difensiva Positiva. Tipici esempi sono rappresentati da una maggiore accuratezza e dettaglio nella documentazione sanitaria e un aumento del tempo e dell’attenzione dedicata alla informazione del paziente. Talora però le reazioni dei medici a un ambiente conflittuale si traducono in comportamenti che alla fine si ritorcono negativamente sui pazienti e sui servizi sanitari, realizzando una Medicina Difensiva Negativa. Tipici esempi sono rappresentati da prescrizioni di prestazioni addizionali di valore medico marginale, con l’esclusivo obiettivo di scoraggiare eventuali richieste di risarcimento e convincere il sistema legale sul rispetto di uno standard di cure accettabile come:

  1. ordinare più test di quanto medicalmente indicato;
  2. prescrivere più farmaci ad esempio antibiotici di quanto medicalmente indicato;
  3. rinviare il paziente ad altro medico, possibilmente specialista, quando non necessario;
  4. ricorrere a procedure invasive, tipo biopsie o per confermare la diagnosi.

In conclusione, il processo decisionale del medico nell’iter clinico-diagnostico-terapeutico, dovrebbe essere guidato da specifiche indicazioni derivanti dalla valutazione clinica, supportata dalle Linee Guida e dalla EBM, in funzione di una ottimizzazione della diagnosi e della prognosi. La pressione mediatica crescente, mirata a enfatizzare l’errore medico, ha contribuito all’instaurarsi di un atteggiamento difensivo che si è tradotto nell’aumento della richiesta di esami e consulenze, con conseguente aumento della spesa sanitaria, non sempre in funzione del miglioramento rischio/beneficio. La istituzione e la implementazione di strutture di supporto, funzionanti almeno in H12, extraospedaliere, per modificare la visione ospedale-centrica, consultabili in tempo reale, per una migliore stratificazione prognostica, sono quanto meno auspicabili e da creare in tempi brevi, per consentire una continuità assistenziale, che eviti in casi non critici il ricorso al ricovero ospedaliero, che deve essere riservato ai soli casi per acuti, cioè pazienti in emergenza clinica, instabili.

*direttore Uoc Pronto Soccorso e Medicina d’urgenza – Azienda San Filippo Neri

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