Sanità, avanza l’universalismo “selettivo”

“Occorre ripensare un modello di assistenza finalizzato a garantire prestazioni non incondizionate, rivolte principalmente a chi ne ha effettivamente bisogno”. È racchiuso in queste parole, estrapolate dal corposo documento ‘Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza’ (Def) del governo Letta, il futuro della nostra sanità. Tradotto in risorse: una spesa sanitaria pubblica ridotta percentualmente dal 7,1 attuale al 6,7% nel 2017, con meno intervento pubblico e più privato. Chi segue da tempo l’informazione sanitaria, ricorderà che di ‘universalismo selettivo’ si cominciò a parlare in Italia dal 2009, dal libro bianco dell’ex ministro del Welfare del governo Berlusconi Maurizio Sacconi,camera ma l’idea originaria non appartiene al nostro Paese.

Nel 1979, anno in cui salì al potere Margaret Thatcher, fu pubblicato sul New England Journal of Medicine un articolo dal titolo “Selective primary health care: an interim strategy for disease control in developing countries”, manifesto di una nuova politica sanitaria, ispirato dalla Banca Mondiale con il preciso scopo di invertire una linea di politica sanitaria affermata nel corso della Conferenza di Alma Ata del 1978 e basata sul concetto di universalità e di salute per tutti. Da lì, all’adozione di politiche neo liberiste, anche nei Paesi non sottosviluppati, il passo fu breve e i contenuti dell’attuale Def ne sono la prova.

Oltre ai messaggi diffusi da decenni e mai realizzati nei fatti – prevenzione, medicina territoriale, appropriatezza, programmazione, lotta agli sprechi, miglioramento della qualità, trasparenza, legalità, equità nell’accesso – nel documento spiccano i riferimenti alla “sostenibilità finanziaria del Servizio sanitario nazionale”, colpisce l’insistere sul sistema sanitario “selettivo” e fa molto discutere la proposta sul “ridisegno del perimetro dei Livelli essenziali di assistenza (Lea)”. Soprattutto, demandare il tutto a una “regia nazionale quale essenziale condizione per mantenere l’unitarietà del servizio”, rimette in discussione la funzione delle Regioni, rispetto al livello ministeriale centrale.

Sicuramente, con il rapporto deficit/Pil che sfora il 3% e l’infinita indeterminatezza di proposte su come reperire risorse – Imu, Iva, Tares e similari – si fa sempre più strada nel settore Welfare e salute il ricorso a forme di assicurazione integrativa, come anticipato dallo stesso ministro della Salute lo scorso 23 settembre. Numerosi interrogativi inoltre desta la proposta di individuare la ‘Farmacia dei servizi’ quale contenitore di nuovi servizi a valenza socio-sanitaria.

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