Servizio sanitario, emorragia da 30 mld

Nella spasmodica attesa del governo che verrà, proviamo a tracciare un bilancio di ciò che il governo Monti ha significato per la sanità. Partiamo dall’evento che più di tutti ha colpito l’immaginario collettivo: la dichiarazione di insostenibilità del Servizio sanitario nazionale da parte del premier. “Per il Servizio sanitario nazionale italiano la sostenibilità nel tempo rischia di diventare un’utopia”, ha dichiarato Mario Monti in un convegno di fine novembre a Palermo e la battuta ha alimentato roventi polemiche. “Se si vuole privatizzare la sanità lo si dica subito” hanno replicato i vertici della Cgil funzione pubblica che ha immediatamente divulgato i dati relativi ai recenti, esiziali provvedimenti dell’esecutivo tecnico. “Tagli forsennati”, secondo il sindacato “che mettono in discussione la garanzia dei livelli essenziali di assistenza sanitaria per i cittadini, le condizioni di lavoro e i livelli di occupazione”. Iniziamo con il provvedimento più menzionato, la “spending review”. Sarà per il fenomeno di contaminazione linguistica, mero espediente per ragioni di consenso, sarà per la veemenza con cui ci si è accaniti contro un servizio sanitario già allo stremo ma il provvedimento tristemente noto, insieme al disegno di legge di stabilità, non ha soddisfatto nessuno, da qualunque parte lo si esamini. Ha portato a un taglio di 9,4 miliardi del finanziamento 2012-2015 e, considerando i precedenti del governo Berlusconi, arriviamo complessivamente alla sospensione di 30 miliardi di finanziamento. Nessuna speranza è arrivata dal ministro della Salute Renato Balduzzi che, con il suo decreto, ora diventato legge, si è limitato a dare una spolveratina a una mobilia che richiederebbe un completo restauro. Interventi non incisivi, molti dei quali soltanto di facciata, provvedimenti che dicono tutto e il contrario di tutto e grandi abbagli. Si pensi, ad esempio, all’obbligo per i medici di famiglia di assicurare un servizio territoriale nell’arco della giornata senza l’ombra di un finanziamento. Per non parlare dell’ingerenza della politica nella sanità o del concetto di salute da tramutare, da fonte di sprechi a investimento per il Paese. Soprattutto sorprende il fatto che non si metta al centro della discussione una questione basilare: si può, con un servizio sanitario siffatto, andare avanti con piccoli ritocchi, stitiche riforme, provvedimenti estemporanei o il sistema va completamente rifondato?

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